Le Regioni non possono modificare unilateralmente gli impegni di riequilibrio finanziario assunti con lo Stato (sentenza della Corte Costituzionale n. 87/2024)

21/01/2025

La sentenza della Corte costituzionale 14 maggio 2024, n. 87, ha operato un forte richiamo alla leale collaborazione cd. verticale in materia di piani di riequilibrio regionali concertati con lo Stato, affermando l’immodificabilità unilaterale degli stessi in assenza di nuove intese, indipendentemente dal mutamento – in ipotesi, anche radicale – dei presupposti di fatto esistenti al momento della relativa approvazione.

Nel caso di specie la Regione Piemonte, con legge 24 aprile 2023, n. 6 (Bilancio di previsione finanziario 2023-2025) aveva riscritto l’articolo 14, comma 2, della legge regionale 5 dicembre 2016, n. 24 (Assestamento del bilancio di previsione finanziario 2016-2018 e disposizioni finanziarie), prorogando il termine per il trasferimento di 1.505 milioni di euro dalla gestione ordinaria a quella sanitaria, ivi previsto, dal 2026 al 2032, e provvedendo a rimodulare, altresì, l’erogazione delle somme per l’abbattimento dei residui passivi delle aziende sanitarie regionali, come risultanti al 31 dicembre 2015. Le disposizioni oggetto di modifica, seppur contenute in un atto normativo regionale, davano esecuzione ad un accordo sottoscritto con lo Stato il 21 marzo 2017, per mezzo del quale si era inteso rimediare ad alcune anomalie riscontrate nello stato patrimoniale regionale relativo all’anno 2015, ossia l’esistenza di «risorse extra-FSR assegnate e non erogate agli enti del SSR» e quella di «somme prelevate dal c/c di tesoreria da parte della Regione per finalità non sanitarie». Peraltro, in quella occasione era stata proprio l’introduzione di tali vincoli a fondare una prognosi positiva sulla corretta gestione delle finanze regionali negli anni a seguire. Finanze su cui Giunta e Consiglio avevano, così, recuperato piena autonomia, dopo una lunga stagione di supervisione ministeriale (sottoposizione al «Piano di rientro» ex art. 1, commi 173 e 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e poi ai «programmi operativi» ex articolo 15, comma 20, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95).

Senonché, talune sopravvenienze, ed in particolare i cospicui esborsi necessari per la gestione della crisi pandemica, avevano reso insostenibili i suddetti impegni di riequilibrio, la cui pedissequa osservanza avrebbe pregiudicato l’erogazione di alcuni servizi pubblici in altri ambiti. Essa, inoltre, secondo la Regione sarebbe stata irragionevole e pleonastica, a fronte della sufficiente liquidità frattanto recuperata dalle ASL.

Di avviso opposto, come si diceva all’inizio, il Giudice delle leggi, che ha accolto la questione sollevata dal Governo vertente sul mancato rispetto del principio di leale collaborazione Stato-Regioni (articoli 5 e 120 della Costituzione). «[I]l modulo concertativo-pattizio – si legge in decisione – costituisce il modello generale di disciplina del finanziamento del servizio sanitario», per via dell’inevitabile concorrenza di competenze statali e regionali in materia, e ad esso si accompagna il «principio di definizione concordata degli obiettivi e delle misure di mantenimento dell’equilibrio finanziario del sistema sanitario regionale», fissato dal Parlamento all’articolo 1, comma 173, lettera f), della legge n. 311/2004 nell’esercizio della propria competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Così argomentata l’illegittimità della disposizione oggetto del giudizio, la Corte non si è, invece, pronunciata sul principio della (auto)vincolatività dei piani di rientro, introdotto dall’articolo 1, comma 180, della legge n. 311/2004, ed anch’esso invocato dalla difesa erariale come norma interposta ex articolo 117, comma 3 della Costituzione.

La decisione si pone in continuità con diversi precedenti, alcuni dei quali espressamente richiamati in motivazione. Già nella sentenza 22 febbraio 2022, n. 40, infatti, nel dichiarare la parziale incostituzionalità di un decreto-legge in materia di LEA, la Corte aveva posto l’accento sul fatto che l’erogazione di prestazioni sanitarie ottimali, costituzionalmente doverosa, non potesse prescindere da una «fisiologica dialettica» tra Stato e Regioni (§ 6.2, II cpv., del Considerato in diritto; nello stesso senso anche la sentenza 12 luglio 2017, n. 169, § 9.3.2 cons. dir.), mentre lo svolgimento del principio di leale collaborazione era stato già ricostruito dalla sentenza 23 settembre 2020, n. 217, come reciproco riconoscimento di «doveri […] di informazione, di previsione di strumenti di raccordo e, in generale, di comportamenti […] corretti e non ostruzionistici» (§ 2.2., VI cpv., cons. dir.). Per altro verso, l’inderogabilità, da parte delle Regioni, di quanto statuito dal legislatore statale a fini di coordinamento della finanza pubblica, anche nelle ipotesi in cui le deroghe tenderebbero a migliorare la qualità dei servizi offerti al cittadino, era stata scandita già dalla sentenza 24 marzo 2014, n. 54, §§ 7.2 e 7.3 cons. dir.

Ignazio Spadaro

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