Il contributo obbligatorio delle Regioni alla finanza pubblica non può intaccare le somme destinate al soddisfacimento di «primarie esigenze della persona umana» (sentenza della Corte costituzionale n. 195/2024)
● 03/02/2025
Con la sentenza 6 dicembre 2024, n. 195, la Corte costituzionale ha accolto due delle otto questioni di costituzionalità sollevate dalla Regione Campania avverso alcune disposizioni della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026), fornendo spunti interessanti sul duplice piano della forma e del tipo di Stato.
La prima questione aveva ad oggetto l’articolo 1, comma 527, nella parte in cui esso prevede che in caso di mancato versamento, da parte di una Regione, di quanto dovuto a titolo di contributo alla finanza pubblicalo Stato possa soddisfarsi «mediante corrispondente riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti» alla Regione inadempiente (V periodo). La medesima disposizione prevede altresì, al III periodo, che in caso di mancato accordo tra le Regioni ordinarie sul riparto del contributo medesimo, quest’ultimo è comunque ripartito con DPCM «in proporzione a[i rispettivi] impegni di spesa corrente al netto delle spese relative […] Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, e […] Tutela della salute». Ciò lascia trasparire una certa consapevolezza, in capo al legislatore statale, circa l’importanza di preservare i sistemi di welfare. Tuttavia, i Giudici convengono con la ricorrente che tale previsione non sterilizza del tutto il rischio che i “tagli” ai trasferimenti statali, volti al recupero degli omessi versamenti, finiscano per erodere risorse destinate a prestazioni sociali costituzionalmente necessarie.
Il suddetto rilievo si pone in continuità con la massima a suo tempo enunciata dalla nota sentenza 16 dicembre 2016, n. 275, secondo la quale «[è] la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (§ 11 del Considerato in diritto). Invero, tra questo precedente e, almeno, la parte motiva della sentenza in commento non vi è perfetta identità di argomenti: la sentenza n. 195, pur richiamando la prima, non insiste sulla “incomprimibilità” dei diritti sociali, bensì afferma testualmente la non sacrificabilità dei diritti afferenti a «primarie esigenze della persona umana», solo «fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi che non rivestono la medesima priorità». E tuttavia, la formula utilizzata nel dispositivo recupera, per così dire, il rigore della sentenza n. 275, posto che la disposizione è dichiarata incostituzionale «nella parte in cui non esclude dalle risorse che è possibile ridurre quelle spettanti per il finanziamento dei diritti sociali, delle politiche sociali e della famiglia, nonché della tutela della salute» (senza alludere, cioè, ad alcun ordine di preferenza).
La seconda questione verte, invece, sul comma 557 dell’articolo 1, nella parte in cui esso riserva al solo Ministro della salute, di concerto col Ministro dell’economia, la determinazione del riparto e del monitoraggio del “Fondo per i test di Next-Generation Sequencing per la diagnosi delle malattie rare”, pretermettendone le Regioni. A questo proposito i Giudici, ribadendo quanto già affermato nella propria sentenza 22 febbraio 2022, n. 40, avente ad oggetto una disposizione analoga, osservano che il carattere concorrente della materia «tutela della salute» impone la leale collaborazione tra Stato e Regioni. Ne deriva l’illegittimità della disposizione «nella parte in cui non prevede» che il decreto ministeriale sia adottato «d’intesa» con la Conferenza permanente Stato-Regioni.
Ignazio Spadaro