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Dietro le quinte

I “tagli” lineari alla spesa pubblica nell’esperienza normativa italiana

Pianificazione economico-finanziaria,PNRR,Tagli alla spesa

I “tagli” lineari alla spesa pubblica nell’esperienza normativa italiana

Dietro le Quinte n. 3/2025

I “tagli” lineari alla spesa pubblica nell’esperienza normativa italiana

Verso un’eterogenesi dei fini?[1]

Sommario: 1. Il contesto d’origine e quello attuale. – 2. Le principali problematiche. – 3. Le possibili soluzioni.

1.     Il contesto d’origine e quello attuale.

Negli ultimi vent’anni, le politiche di contenimento della spesa pubblica adottate in Italia si sono spesso concretizzate in interventi di riduzione di risorse finanziarie applicati in modo uniforme e privi di criteri selettivi, comunemente noti come “tagli lineari”. Tali misure, adottate in maniera trasversale sulle dotazioni di bilancio delle amministrazioni, si sono progressivamente imposte nel tempo quale principale strumento per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, benché non supportate da un’analisi ex ante circa la qualità e l’efficienza della spesa oggetto di riduzione.

Pur generando effetti positivi immediati sul saldo di bilancio, i tagli lineari si sono rivelati, nella prassi applicativa, inadeguati rispetto all’obiettivo di razionalizzazione efficace ed equa della spesa pubblica, incidendo negativamente sulla capacità amministrativa delle strutture pubbliche e sulla qualità dei servizi erogati. Le rimodulazioni al ribasso così introdotte, che si sono susseguite con ritmo torrenziale nei successivi interventi normativi, hanno una ratio diametralmente opposta rispetto a quella sottesa ai cc.dd. “tagli mirati”, circoscritti a specifiche funzioni o singoli comparti e privi, per definizione, di portata generalizzata.

Sebbene già sperimentati in forma episodica nei decenni precedenti, è con la crisi finanziaria del 2008 che i tagli lineari sono stati impiegati come strumento prioritario per il risanamento dei conti pubblici. L’art. 60 del d.l. 112/2008, nel disporre una riduzione sistematica delle dotazioni di bilancio a legislazione vigente e delle missioni di spesa dei Ministeri per il triennio 2009-2011, ha segnato l’avvio di una stagione normativa fondata sulla linearità degli interventi di contenimento della spesa, destinata a protrarsi ben oltre l’orizzonte temporale originariamente previsto e che tutt’oggi non può dirsi conclusa.

L’applicazione di tagli lineari costituisce, infatti, una pratica ancora in atto, sebbene oggi trovi giustificazione nel perseguimento di obiettivi programmatici diversi da quelli definiti nel corso della XVI legislatura.

Nello scenario macroeconomico successivo al 2008 – contrassegnato dalla crisi dei debiti sovrani conseguente alla cartolarizzazione dei mutui subprime e dall’adozione delle politiche di austerity – i tagli de quo non potevano che essere concepiti in un’ottica di riequilibrio dei conti pubblici. La loro adozione, originariamente limitata al triennio della manovra, è stata riproposta e ha assunto carattere strutturale con il d.l. 78/2010. Ne è derivata per le amministrazioni centrali e periferiche una significativa riduzione, in termini assoluti, delle rispettive spese per il personale, per l’adeguamento al fabbisogno e per l’acquisto di beni.

Nel diverso contesto attuale, la ragion d’essere di tali interventi va invece rintracciata nell’esigenza di assicurare copertura ad una parte dei massicci investimenti pubblici contemplati dal PNRR e dal relativo Piano nazionale per gli investimenti complementari istituito con d.l. 59/2021.

Questa evoluzione – che sembra assumere i connotati di una vera e propria eterogenesi dei fini – trova riscontro nei più recenti tagli alle spese ministeriali, per un ammontare complessivo pari a 4,5 miliardi di euro, evocati dalle previsioni tendenziali di finanza pubblica contenute nel DEF 2022.

Tale processo:

a)              appare complementare ai sistemi di monitoraggio in itinere ed ex post sullo stock di garanzie pubbliche, in una prospettiva di efficientamento dell’esposizione debitoria dello Stato e di contenimento delle passività potenziali (v. il Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029);

b)             si è tradotto nel biennio 2023-24 nel varo di numerosi decreti ministeriali tesi alla ricognizione delle dotazioni organiche delle amministrazioni titolari di misure PNRR. Ciò in quanto la ridefinizione degli assetti organizzativi di queste ultime, tenute agli stanziamenti ai soggetti attuatori entro lo stringente termine di 30 giorni dalla presentazione dell’istanza (v. decreto Mef del 6 dicembre 2024), rappresentava una tappa essenziale ai fini dell’attuazione del PNRR.

Peraltro, una ridefinizione giustificata da simili finalità non rischia certo di incorrere nelle pregresse censure dedotte dalla Corte dei conti, la quale, in sede di controllo sulla gestione, ha più volte bocciato in passato misure di spending review adottate in assenza di «una strategica revisione degli assetti organizzativi esistenti» (Deliberazione n. 23/2014/G), denunciando come in casi simili, dietro l’apparente finalità di razionalizzare la struttura dei Ministeri e ridefinire le posizioni organizzative, si celi, in realtà, l’intento di conseguire delle economie attraverso riduzioni incalzanti ed indifferenziate di spese di adeguamento al fabbisogno.

 

2.    Le principali problematiche

La persistente applicazione dei tagli lineari, più che informarsi al principio dell’invarianza della spesa, sembra esprimere una concezione meramente contabile della finanza pubblica, riproponendo il noto paradigma della primazia dei mezzi finanziari sui fini[2]. Tale approccio, oltre a risultare scarsamente sostenibile sotto il profilo sistemico, è fonte di una serie di problemi.

Innanzitutto, i correttivi dei conti pubblici che implicano tagli indiscriminati in settori individuati ex ante incidono sul piano qualitativo della revisione della spesa e sono sintomatici di una strutturale incapacità di programmazione dei pagamenti per investimenti e dei fabbisogni di personale[3].

A tal proposito, basti pensare alla rimodulazione lineare delle spese di gestione e di funzionamento discendente, per gli enti locali, dai vincoli del Patto di stabilità interno ex art. 77-bis del d.l. 112/2008 ed al conseguente irrobustimento dei controlli sui saldi finanziari in termini di competenza mista. Fattori questi che, oltre a non assicurare di per sé la capacità di autofinanziamento dell’ente, determinano in taluni casi una decisa contrazione degli investimenti pubblici e della spesa in conto capitale.

A ciò si aggiunga che lo stesso avanzo di amministrazione che l’ente riesca eventualmente a generare come diretta conseguenza dei tagli (quale che sia la loro ratio) da un punto di vista giuridico-contabile non sempre sarà utilizzabile, a norma dell’art. 187, comma 2 del d.lgs. 267/2000, per il finanziamento delle spese di investimento, potendo esser impiegato a tal fine solo l’avanzo di cassa (ossia, il risultato contabile che rappresenta il dato di sintesi dell’intera gestione finanziaria), mentre rimane ovviamente escluso l’avanzo corrente, contabilizzato secondo il criterio di competenza.

Ancora più significative appaiono le ripercussioni negative dei tagli lineari sul quadro contabile delle Regioni, atteso che l’autonomia finanziaria e patrimoniale di queste ultime, salvaguardata dall’art. 119 Cost. (Corte cost., sent. n. 247/2017), impedisce, in ogni caso, di sterilizzare un eventuale avanzo di amministrazione ai fini dell’equilibrio del bilancio regionale per poi farlo trasmigrare nel conto consolidato delle amministrazioni pubbliche ai fini della rendicontazione europea.

Va poi ricordato che le riduzioni lineari, essendo disposte da provvedimenti legislativi statali, lasciano sovente alle Regioni margini di apprezzamento minimi (e talora pressoché inesistenti) nella selezione dei soggetti, privati o pubblici ai quali applicare le misure di contenimento della spesa, sebbene una consolidata giurisprudenza, anche costituzionale (ex plurimis, Corte cost., sent. n. 203/2016), ritenga che rimarrebbe sempre impregiudicata la facoltà delle Regioni, estrinsecabile attraverso l’adozione di atti di alta amministrazione, di optare per l’una o l’altra tipologia di tagli (lineari o mirati).

Sebbene le restrizioni determinate dagli obiettivi generali di coordinamento della finanza pubblica alla potestà legislativa concorrente delle Regioni siano costituzionalmente tollerabili (anche laddove incidano indirettamente sulla consuntivazione della spesa corrente, in primis di quella impegnata per la gestione del servizio sanitario), permane l’obbligo, in capo al legislatore statale, di rispettare il principio di leale cooperazione: onde «scongiurare l’adozione di tagli al buio» in quei comparti chiave coinvolgenti diritti sociali e tutela della salute, deve acquisire «adeguati elementi istruttori sulla sostenibilità dell’importo del contributo da parte degli enti ai quali viene richiesto», eventualmente anche convocando la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 5 della l. 42/2029 (Corte cost., sent. n. 195/2024).

Ulteriori profili critici affiorano qualora vengano applicate riduzioni lineari con effetto retroattivo della spesa complessiva annua rispetto a quella consuntivata. Tagli così congegnati sono da più parti tacciati di minare il legittimo affidamento che l’operatore economico – e lo stesso destinatario del pubblico servizio – possa riporre nel budget già assegnato per una data annualità. Sennonché, la giurisprudenza amministrativa sul punto (ex multis, Cons. St. Sez. III, nn. 6437/2020 e 9309/2022; TAR Campobasso, Sez. I, n. 256/2024) ha negato l’illegittimità della fissazione, in corso d’anno, di tetti di spesa che dispieghino i propri effetti anche sulle prestazioni già erogate, sul presupposto che la retroattività dell’atto determinativo di spesa rispetto all’avvio del servizio ha carattere fisiologico e, come tale, non sottrarrebbe all’interessato la capacità di predisporre le necessarie risorse organizzative e di effettuare i relativi investimenti. In tale prospettiva, la retroattività non si configura come lesiva della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41, comma 2 Cost., essendo l’operatore accreditato tenuto a conoscere il rischio di correttivi, anche in corso d’anno, ai contenuti economici dell’affidamento.

Nondimeno, la possibilità per l’amministrazione di ridurre i volumi di budget già impegnati per una certa annualità deve fondarsi su presupposti normativi chiari e su criteri oggettivi e verificabili. I provvedimenti di decurtazione devono, pertanto, ancorarsi ad elementi prevedibili – quali la spesa consuntivata per l’anno x, i volumi di acquisto preventivati per l’anno y, la percentuale di riduzione della spesa complessiva annua – tali da consentire agli operatori coinvolti di calcolare in anticipo ed in modo attendibile il  rischio finanziario connesso all’esercizio. In assenza di tali garanzie, come spesso accade, l’affidamento dell’operatore e la sostenibilità gestionale rischiano di essere compromessi.

 

3.    Le possibili soluzioni.

Le problematiche sopracitate non sempre vengono prese in debita considerazione dalle pubbliche amministrazioni coinvolte. Del resto, nel tempo sono stati ad esse concessi, come contraltare all’introduzione dei tagli lineari, margini via via più ampi di flessibilità gestionale nell’allocazione delle risorse.

Il riferimento è anzitutto al d.l. 112/2008, che, introducendo la distinzione tra spese rimodulabili (fattori legislativi e spese di adeguamento al fabbisogno) e non (i cc.dd. “oneri inderogabili”), poi cristallizzata nella l. 196/2009, ha recato grande giovamento alle amministrazioni.

Ma il potere di quantificare in modo ampiamente discrezionale le spese rimodulabili, articolandole secondo i programmi di spesa reputati prioritari, non è stata l’unica contropartita normativamente accordata. Si pensi altresì al d.l. 98/2011, che, per controbilanciare i tagli indiscriminati disposti in plurimi settori, ha riconosciuto per il triennio 2012-14 la facoltà di effettuare, previa adozione di un apposito decreto del Mef, variazioni di carattere compensativo tra le dotazioni finanziarie relative alle spese rimodulabili dei Ministeri, anche tra programmi diversi.

Tuttavia, i tagli lineari non costituiscono una via utilizzabile nel lungo periodo come strumento per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, dal momento che una flessibilità valutata unicamente in un’ottica di “premialità” cozzerebbe irrimediabilmente con istanze di sostenibilità. Sostenibilità che, a sua volta, non va vagliata soltanto in una prospettiva schiettamente contabile, id est come necessità di approntare misure di contenimento del disavanzo pubblico. A rendere sostenibile un sistema macroeconomico è, infatti, principalmente l’equilibrio tra domanda ed offerta, spesso falsato da provvedimenti che rispondono alle logiche del definanziamento programmato, dei piani di rientro e delle decisioni di commissari ad acta.

Si rende necessario, dunque, un deciso cambiamento di rotta, specialmente a seguito della procedura di infrazione per deficit eccessivo cui è stata sottoposta anche l’Italia nel giugno del 2024.

Si prenda in proposito come settore di riferimento quello della sanità, trattandosi dell’indotto che ha conosciuto le maggiori misure di contenimento. Un auspicabile processo di riforma in tale comparto dovrebbe prefiggersi l’obiettivo di sottrarre l’erogazione dei LEA all’assistenza sanitaria integrativa, che nell’ultimo ventennio è stata sempre più defiscalizzata a detrimento dell’autonomia di spesa delle Regioni[4], di contro costrette a siglare le “intese” prefigurate dalla l. 131/2003 a fronte del paventato rischio di vedersi comminati tagli lineari.

Le misure agevolative in questione hanno sinora dato adito all’affermazione di ecosistemi sanitari privati a carattere corporativo che, oltre a non aver deflazionato affatto il carico di prestazioni gravante sul SSN, nemmeno hanno garantito uniformità delle prestazioni agli utenti meno abbienti, generando piuttosto una segmentazione delle tutele offerte dal sistema, nonché dell’utenza tout court. Simili meccanismi rischiano di produrre effetti recessivi, che vanificherebbero ogni tentativo di rimodulazione della spesa e riduzione del deficit. Specie se, a cascata, dovesse innescarsi un ridimensionamento dei finanziamenti nei settori direttamente correlati (ricerca, istruzione ed innovazione).

Il testo in pdf è consultabile al seguente link: Dietro-le-Quinte-n.-3_2025

[1] Il presente contributo è stato redatto da Damiano Carmelo Paternò e Caterina Cossiga.

[2] Sul punto, E. D’ALTERIO, Dietro le quinte di un potere. Pubblica amministrazione e governo dei mezzi finanziari, Bologna, Il Mulino, 2021, passim; C. COTTARELLI, La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare, Milano, Feltrinelli, 2015, 15 ss.

[3] Su quest’ultima si veda H. Bonura, Pianificazione e analisi dei fabbisogni, in G. Amoroso, V. Di Cerbo, L. Fiorillo, A. Maresca (a cura di), Lavoro Pubblico, Milano, Giuffrè, 2019, 101.

[4] In tal senso, l’aver corroborato il potere sostitutivo del Governo ex art 120, comma 2 Cost. non sempre è stato indice di una gestione efficiente e rispettosa della sussidiarietà e leale collaborazione.