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I Brevi di Finpa
Una “cartina al tornasole” della crescente centralità del Golden Power: la tutela apprestata per le comunicazioni su banda larga e per le reti 5G
● golden power,Investimenti esteri diretti,Reti 5G
Una “cartina al tornasole” della crescente centralità del Golden Power: la tutela apprestata per le comunicazioni su banda larga e per le reti 5G
Abstract
Il presente scritto mira a tratteggiare un breve quadro d’insieme della disciplina Golden Power approntata per la tutela delle reti infrastrutturali e componenti tecnologiche 5G, introdotta, dapprima, con il Decreto-legge 25 marzo 2019, n. 22 (convertito con modificazioni dalla legge 20 maggio 2019, n. 41) e, successivamente, rafforzata dal Decreto-legge 21 marzo 2022, n. 2 (convertito con modificazioni dalla legge 20 maggio 2022, n. 51). Tale ultimo decreto ha inserito i suddetti assets all’interno dell’art. 1-bis del Decreto-Legge 15 marzo 2012, n. 21 (convertito con modificazioni dalla legge 11 maggio 2012, n. 56), conferendogli – ex lege – il carattere di strategicità per il sistema di difesa e sicurezza nazionale.
Federico Muzzati
Una disciplina peculiare per una tecnologia chiave.
Sulla scia del trend di crescente espansione dei poteri dorati, l’art. 1 del Decreto-legge 25 marzo 2019, n. 22 ha introdotto, all’interno del Decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21 (convertito con modificazioni dalla legge 11 maggio 2012, n. 56) l’art. 1-bis, prevedendo la possibilità di intervenire anche a tutela di asset e attività strategiche inerenti ai servizi di comunicazione elettronica a banda larga, basati sulla tecnologia 5G.
La ratio dell’intervento era da rinvenirsi nella prevenzione dei rischi derivanti da potenziali usi impropri dei dati veicolati mediante queste tecnologie e infrastrutture, tali da poter compromettere la sicurezza nazionale.
Tutto ciò con una particolare e inedita peculiarità; mentre gli art. 1 e 2 del D.L. n. 21/2012 prevedono, a carico delle imprese, l’obbligo di notificare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri solamente le operazioni societarie (i.e. merger and acquisition), l’art. 1-bis aveva esteso l’obbligo di notifica, finanche, a tutte le operazioni contrattuali, nei casi in cui la controparte negoziale fosse stata un operatore del settore telco stabilito in uno Stato extra UE.
L’“epilogo” finale era analogo a quello previsto “ordinariamente” in materia di Golden Power, ossia: la Presidenza del Consiglio dei Ministri poteva autorizzare l’accordo, ovvero imporre il proprio veto alla finalizzazione dell’accordo contrattuale o, infine, procedere a dettare specifiche prescrizioni nei confronti dell’acquirente, con l’intento di ridurre le criticità per la sicurezza derivanti da tali atti negoziali.
In buona sostanza, ciò che ha indotto il legislatore a dilatare il campo di applicazione dei poteri speciali era, evidentemente, da rinvenirsi nel ruolo pregnante che la tecnologia 5G stava iniziando a rivestire all’epoca (e che mantiene tutt’ora); infatti, si tratta non solamente di un mezzo per la gestione di necessari servizi strategici digitali, bensì costituisce, inoltre, un importante volano di crescita per la competitività dell’Unione europea.
Un ulteriore affinamento: le modifiche introdotte dal D.L. n. 21/2022.
Come appare agevole comprendere, il fatto di dover notificare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ogni singolo atto di acquisto relativo a beni appartenenti alla tecnologia 5G, da un lato, non permetteva alla stessa di disporre di un quadro d’insieme chiaro e completo, dall’altro, costringeva gli operatori di settore a trasmettere, annualmente, un elevato e imprecisato numero di notifiche.
Tali criticità sono state oggetto immediato di dibattito, tant’è che, nel giro di qualche anno, con l’entrata in vigore dell’art. 28 del D.L. n. 21/2022 (c.d. Ucraina-bis) il citato art. 1 bis del D.L. n. 21/2012 è stato riscritto.
In particolare, ciò che pare maggiormente degno di sottolineatura è, per un verso, l’ulteriore ampliamento dell’ambito oggettivo della regolamentazione, in quanto la protezione non si limita più alle comunicazioni elettroniche che avvengono su banda ultra larga e alle infrastrutture 5G, ma vi si ricomprendono anche tutti i beni, servizi, rapporti e tecnologie rilevanti per la sicurezza cibernetica (in particolare quelli relativi al cloud). Per altro verso, l’iter procedurale non si concretizza più nella singola notifica di ogni atto negoziale di acquisto, bensì nella più agevole sottoposizione alla Presidenza del Consiglio di un unico piano annuale ricomprendente il programma di acquisti, l’elenco dei fornitori, e quant’altro richiesto dalla normativa primaria.
Un ulteriore elemento di novità si riscontra nel fatto che l’approvazione, il diniego, oppure l’indicazione di prescrizioni relative all’approvazione del piano annuale avviene, ora, con D.P.C.M (previa delibera del Consiglio dei Ministri).
Rilievi finali.
L’approccio di protezione delle reti di telecomunicazione e della tecnologia 5G, particolarmente pregnante in Italia, “abbracciato” anche dall’Unione Europea (che, però, non si spinge ad introdurre livelli protezionistici di tutela simili, lasciando agli Stati membri discrezionalità in ordine agli strumenti che ritengono più opportuno adottare) dimostra l’evidente rivolgimento occorso nel rapporto intercorrente tra Stato e mercato.
La fede “cieca” nella capacità di autoregolamentazione dei mercati è crollata a causa del ruolo che alcuni Stati (specialmente la Cina) stanno giungendo prepotentemente a ricoprire sullo scacchiere internazionale, grazie alla conduzione di aggressive politiche predatorie.
Ed infatti, a livello domestico, in relazione agli asset di cui in commento, il Governo si è dimostrato particolarmente attento: basti ricordare che, nel 2019, ha posto il proprio veto alla stipulazione di un accordo contrattuale tra Fastweb e Huawei.
Anche a livello eurounitario la tendenza al rafforzamento degli strumenti giuridici di protezione economica è del tutto evidente; si pensi alla proposta di superamento dell’attuale Regolamento n. 2019/452/UE, con la quale si intende rendere obbligatoria l’introduzione di una forma di screening FDI (Foreign Direct Investment) per tutti gli Stati membri che ad oggi ne risultano sforniti, all’interno di una cornice di principi prefissata dal nuovo regolamento europeo da emanare.
In conclusione, mediante il ricorso all’esercizio dei poteri speciali, è possibile salvaguardare, ai fini che qui interessano, asset strategici in ambito tecnologico, al fine di prevenire potenziali rischi derivanti dalla conclusione di operazioni “non sorvegliate”, a mente del più ampio obiettivo di protezione degli interessi nazionali e della sicurezza cibernetica.
Infatti, se non si procedesse in tal senso, si rischierebbe di dover ricorrere ad interventi di notevole impatto finanziario per far fronte a eventuali attacchi o vulnerabilità dei sistemi tecnologi non adeguatamente “sorvegliati”. Ciò, garantisce, inoltre, al contempo, maggior efficienza amministrativa e risparmi di risorse pubbliche che, nel lungo periodo, permettono al Paese di essere più competitivo.