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Sovvenzioni pubbliche e diritti sociali: l’impatto del Dispositivo sull’indebitamento netto delle p.a.
● indebitamento netto,PNRR,sovvenzioni pubbliche
Sovvenzioni pubbliche e diritti sociali: l’impatto del Dispositivo sull’indebitamento netto delle p.a.
Abstract
In una prospettiva de iure condendo, può concepirsi una copertura finanziaria dei costi di prestazioni sociali di cui alla Missione 5 del PNRR facendo ricorso (anche) a risorse del Recovery and Resilience Facility prive di immediata connotazione socio-assistenziale? La strada sembra praticabile in presenza di riforme normative non impattanti sull’indebitamento netto delle p.a.
Damiano Carmelo Paternò
La questione. È possibile, sfruttando componenti della Missione 5 e, più in generale, risorse che alimentano il Fondo di sviluppo e coesione (come rimodulato nel ciclo di programmazione pluriennale che verrà a scadenza nel 2027), assicurare l’effettiva fruibilità di quei diritti sociali costituzionalmente sanciti ma finanziariamente condizionati?
Per rispondere, occorre muovere da una prospettiva di indagine – ormai “storica” -, concernente la matrice giuridica di questi fondi pubblici. Essa va rintracciata nello scenario macroeconomico plasmato dalla recessione pandemica e dalla crisi energetica conseguente agli eventi bellici in atto in Ucraina.
L’analisi ed il contesto normativo. In tale contesto, caratterizzato da ripetuti scostamenti del saldo strutturale di bilancio dall’OMT, matura l’opzione di mitigare il progressivo processo di degradazione dei diritti sociali, attingendo a fondi che, nell’intentio del legislatore eurounitario della pandemia, dovevano essere prioritariamente destinati a tutt’altro scopo, vale a dire al sostegno del settore produttivo, commerciale e bancario. Segnatamente, si volge lo sguardo agli aiuti di Stato autorizzati dalla Commissione europea col Temporary Framework del 19/03/2020, riconducibili all’alveo dell’art. 107, par. 3 lett. b) TFUE e connotati da una generale attitudine derogatoria al principio Deggendorf, pienamente giustificabile in un quadro storico-normativo che ha conosciuto l’attivazione della general escape clause.
Potrebbe prima facie sembrare scontata la possibilità di utilizzare le predette sovvenzioni per finanziare – anche indirettamente – prestazioni socio-assistenziali. Infatti, nell’attuale attività programmatoria del Pnrr, non sempre predeterminabile è la proclività di un certo grant o loan del Recovery and Resilience Facility (RRF) a fungere da volano per l’attività di impresa piuttosto che venire impiegato per il perseguimento di obiettivi di giustizia sociale, inclusione e coesione territoriale (settori comunque sempre connessi all’imprenditoria, alle politiche del lavoro ed al settore bancario).
La soluzione, però, non è così agevole. Innanzitutto perché il soggetto pubblico non ha il potere di erogare prestazioni socio-assistenziali facendo ricorso direttamente ai prestiti del Recovery Fund, nonostante la p.a. rimanga a tutt’oggi – pur nel quadro di una più evoluta concezione del principio di sussidiarietà orizzontale – il primo erogatore delle prestazioni in tema di inclusione e coesione, nonché il principale soggetto attuatore nell’ambito delle componenti della Missione 5. Anche alle amministrazioni centrali titolari di interventi Pnrr rimane preclusa la possibilità di accedere ai loans, sebbene esse siano investite di importanti funzioni di coordinamento, monitoraggio, rendicontazione e controllo e pur potendo le stesse stipulare apposite convenzioni, a valere sulle risorse RRF, per avvalersi del supporto tecnico-operativo di società in-house qualificate in sede di affidamenti finanziati con risorse del Dispositivo.
Questo principio generale, in nome di esigenze di trasparenza, mette a repentaglio la possibilità di rispettare il cronoprogamma relativo al raggiungimento di una serie di milestone e target. Né in un secondo momento esso è stato rivisto dal legislatore nazionale, intervenuto a dettare disposizioni in materia di procedure di gestione finanziaria delle risorse RRF, nonché di controllo e monitoraggio dell’attuazione degli interventi con queste realizzati (decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13).
Conclusione. Deve allora concludersi che il finanziamento di investimenti a finalità di inclusione sociale e coesione territoriale attraverso incentivi di Stato è sostenibile solo ove sia accompagnato da riforme normative incentrate sul miglioramento del saldo di indebitamento netto delle p.a. e sul correlativo processo di revisione della spesa pubblica atto a contenerlo. Quest’ultimo profilo non desta particolari preoccupazioni, poiché tra le riforme abilitanti di cui è titolare il MEF figura una spending review (M1C1 – Riforma 1.13) di grande impatto sistematico, che sta sortendo gli effetti sperati: sussistono già tutte le condizioni per conseguire agevolmente il prossimo traguardo (M1C1-111), fissato per il 30/06/2024.
Maggiormente problematica appare, invece, la via per impedire che le risorse RRF vengano ad impattare eccessivamente sull’indebitamento netto delle p.a.
Premesso che gli interventi finanziabili con i fondi in dotazione del RRF possono essere distinti in nuovi e in essere (a seconda che siano destinati a progetti ancora da approvare o a misure già in atto) e che solo la copertura dei secondi, risultando già scontata nelle previsioni tendenziali della Nadef originaria (in quanto prevista a legislazione vigente), non impatta in peius sul saldo di indebitamento netto, è soprattutto con riguardo agli interventi nuovi che dovranno essere emanati provvedimenti realmente privi di effetti peggiorativi sullo stesso. Unica eccezione per i grants, che, quand’anche comportino spese non scontate nei tendenziali, hanno impatto neutrale sul disavanzo, stante la contemporanea iscrizione delle poste di entrata e uscita ad essi relativi.
Anche nella quantificazione degli oneri per le nuove leggi di spesa dovranno essere considerati in maniera precisa gli aumenti richiesti ai fini della compensazione degli effetti in termini di indebitamento netto, specie laddove si faccia ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza (si v., ad esempio, l’art. 39, comma 2 del d.l. 48/2023, recante misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro).
Infine, un “sacrificio” ai fini della razionalizzazione del saldo di indebitamento sarà richiesto, più che ad amministrazioni locali e agli enti di previdenza, alle amministrazioni centrali dello Stato. Proprio a queste ultime, infatti, è imputabile l’impennata del deficit nel biennio 2020-22. Dell’esigenza di realizzare risparmi di spesa in termini di indebitamento netto si è fatto carico, limitamente ai Ministeri, il DPCM del 7 agosto 2023. Questa scelta ha contribuito alla diminuzione del deficit nel corso dello scorso anno (di circa 13,8 miliardi di euro rispetto al 2022), come attestato dalla documentazione trasmessa alla Commissione in applicazione del Protocollo sulla Procedura per i Disavanzi Eccessivi nel 2023. Ciò non è bastato, tuttavia, a scongiurare l’apertura di una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti del nostro Paese: contenuta nell’ultimo “pacchetto primavera” presentato dalla Commissione, essa avrà formalmente inizio il 19/06/2024.