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Les jeux (ne) sont (pas) faits: Unicredit, Banco BPM e una (preannunciata) battuta d’arresto esiziale
● diritto bancario,golden power,sicurezza nazionale
Les jeux (ne) sont (pas) faits: Unicredit, Banco BPM e una (preannunciata) battuta d’arresto esiziale
Abstract: Il presente contributo intende prendere in considerazione una recente pronuncia del T.A.R. Lazio n. 13784/2025, resa all’esito dell’impugnativa promossa da Unicredit avverso il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 18 aprile 2025 con il quale, in relazione all’offerta pubblica di scambio volontaria (OPS) relativa alla totalità delle azioni di Banco BPM, la Presidenza del Consiglio aveva deciso di esercitare i poteri speciali.
Federico Muzzati
La genesi dell’operazione e l’espansione del campo di applicazione dei poteri dorati
Nell’ambito delle recenti operazioni finanziarie che hanno coinvolto primari istituti di credito riveste preminente centralità la “vicenda” Unicredit – Banco BPM.
In buona sostanza, il 25 novembre 2024, Unicredit, uno dei principali istituti di credito italiani per capitalizzazione, aveva comunicato al mercato la decisione di promuovere un’offerta pubblica di scambio (un tipo di offerta in cui si propone agli azionisti di una società di scambiare le loro azioni con altri strumenti finanziari) ai sensi degli artt. 102 e 106, comma 4, del Testo unico sulla finanza (TUF), avente a oggetto la totalità delle azioni ordinarie di Banco BPM.
Successivamente all’approvazione da parte di CONSOB del Documento d’Offerta, in data 28 aprile 2025, è iniziato il periodo di adesione, destinato a raccogliere le manifestazioni di volontà circa l’adesione alla proposta di Unicredit.
La scadenza di tale periodo, originariamente fissata al 23 giugno 2025, poi posposta al 23 luglio 2025, segna il termine entro il quale l’operazione deve essere completata o, se del caso, abbandonata.
Al netto del valore finanziario dell’acquisizione, ciò che preme rilevare è stata la pronta reazione della Presidenza del Consiglio che, sulla base della disciplina positiva dei poteri speciali, ha avviato un’apposita istruttoria, conclusasi con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 18 aprile 2025, che ha imposto ad Unicredit una serie di prescrizioni per poter concludere l’operazione.
Nello specifico, sono state impartite le seguenti disposizioni: (i) non ridurre per un periodo di cinque anni il rapporto impieghi/depositi praticato da Banco BPM e UniCredit in Italia, (ii) non ridurre il livello del portafoglio attuale di project finance di Banco BPM e UniCredit in Italia, e, per un periodo di almeno 5 anni, non ridurre il peso attuale degli investimenti di Anima Holding S.p.a. in titoli di emittenti italiani, supportarne lo sviluppo, e, soprattutto, cessare tutte le attività bancarie in Russia entro nove mesi dalla data di emissione del decreto.
Tale utilizzo dei poteri dorati manifesta una tendenza allo “sconfinamento” rispetto al previsto raggio d’azione tipico (si veda, sempre in ambito finanziario, la vicenda “Cedacri” occorsa nell’estate 2024) ed alla sua ratio, ossia la tutela della sicurezza nazionale e di asset cardinali. Questa situazione rende i golden powers uno strumento sempre più penetrante e strategico, di alta amministrazione, utilizzato da un sistema statale che, sul versante della regolazione del mercato, a volte finisce per dismettere la sua veste di mero “doganiere”.
Tornando al caso di specie, Unicredit, dopo un lungo dialogo con le istituzioni coinvolte, ha proposto ricorso al T.A.R. Lazio avverso il D.P.C.M. di esercizio dei poteri speciali la cui illegittimità veniva dedotta, in breve, sulla sua adozione in assenza dell’esistenza di un reale e concreto rischio per la sicurezza nazionale. Non verrebbe, infatti, in considerazione alcuna ragione di sicurezza o di ordine pubblico, trattandosi di un’operazione condotta da un’impresa interamente italiana ed avente ad oggetto un altro istituto di credito interamente italiano; inoltre, ovviamente, tanto la banca target, quanto Unicredit, sono sottoposti alle regole del diritto nazionale ed europeo, nonché al costante e rigoroso controllo di numerose Autorità di vigilanza, nazionali ed europee.
Un pronunciamento “salomonico”?
Lungi dallo scendere nel dettaglio della sentenza di cui in commento, di elevato tecnicismo, è bene sottolineare come il Collegio abbia accolto, seppur in parte qua, il ricorso di Unicredit, affermando sì la legittimità dell’utilizzo dei poteri dorati, anche in questa particolare e delicata vicenda, ma, per converso, ha anche arginato alcuni evidenti distonie applicative.
In breve, il T.A.R., dopo aver richiamato, anche sulla base di precedenti giurisprudenziali, la “lata configurazione discrezionale” della natura dei poteri speciali perché presuppongono valutazioni di interessi legati alla sicurezza nazionale, estranei al sindacato del Giudice (salvo il caso in cui questi vengano esercitati in maniera del tutto illogica, incongrua o, ictu oculi, arbitraria), è sceso nel merito del ricorso, valutando se le prescrizioni imposte siano proporzionate al caso di specie.
Nel dettaglio, il Collegio ha ritenuto legittima l’imposizione della prescrizione relativa al rapporto impieghi/depositi congelato per 5 anni, mentre ha censurato, in quanto evidentemente ingiustificata, la fissazione di un termine rigido e predeterminato.
È stata, invece, confermata la legittimità delle disposizioni relative alla holding Anima, e all’obbligo di far cessare tutte le attività in Russia entro 9 mesi dall’emanazione dell’impugnato D.P.C.M., anche sulla base di un orientamento della BCE che aveva già imposto svariate restrizioni inerenti allo svolgimento di attività creditizie in quel territorio.
Il ritiro dell’OPS
Il giorno prima della scadenza fissata per l’adesione all’OPS (i.e. il 22 luglio scorso), Unicredit, anche alla luce delle rigide prescrizioni della sentenza di cui in commento, ha deciso di non proseguire in questa lunga e scoscesa operazione; ciò, di fatto, segna un’importante battuta d’arresto nel fervente “risiko” bancario italiano.
Se ne inferisce che, la latitudine applicativa dei poteri speciali, anche in questa specifica circostanza, hanno reso impraticabile un affare di grandissimo valore.
Ciò, non solo rischia di far perdere potenziali investimenti strategici futuri al sistema Paese, bensì tale mancata occasione è foriera di privare il sistema finanziario italiano di potenziali sinergie e razionalizzazioni, rallentando il consolidamento del settore, e, dunque, la competitività del sistema bancario domestico. Un segnale che l’intervento statale, se non sapientemente calibrato, rischia, talvolta, di generare incertezze e allontanare capitali, con effetti indiretti anche sul debito e sulla capacità del Paese di attrarre investitori di primario standing.
