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Finanza comportamentale e politiche formative nella Pubblica amministrazione: impatto sulla finanza pubblica

Finanza comportamentale,organizzazione amministrativa,Pubblico impiego

Finanza comportamentale e politiche formative nella Pubblica amministrazione: impatto sulla finanza pubblica

Finanza comportamentale e politiche formative nella Pubblica amministrazione: impatto sulla finanza pubblica

Anna Fulvia Mestolo

 

Abstract: Il contributo esplora l’applicazione della finanza comportamentale alle politiche formative del personale nella Pubblica amministrazione. Analizza principi teorici, dati recenti (Documento di finanza pubblica, 2025, ISTAT, 2024) e raccomandazioni OCSE (OCSE, 2023) e propone infine l’adozione di alcuni indicatori per ottimizzare le spese sulla formazione.

Fondamenti teorici e dati di contesto

La finanza comportamentale (behavioral finance), nata dagli studi di Kahneman e Tversky (1979) e sviluppata poi da Thaler e Sunstein (2008), ha rivelato quanto il pregiudizio sistematico e la distorsione cognitiva (bias) influenzino i processi decisionali. Nella Pubblica amministrazione (PA), la finanza comportamentale aiuta a comprendere i fattori e le dinamiche, anche organizzativi, che incidono sull’efficacia della formazione del personale, sullo sviluppo delle competenze e, di conseguenza, su un’efficiente allocazione delle risorse finanziarie. In un contesto di vincoli di bilancio, di esigenze di innovazione organizzativa, anche in linea con le riforme del PNRR, la formazione diventa infatti una leva strategica per favorire il cambiamento. Questo orientamento è stato di recente rafforzato dalla Direttiva del Ministro Zangrillo del 14 gennaio 2025 in materia di formazione, che promuove la programmazione integrata e la personalizzazione dei percorsi formativi, la valutazione dell’impatto delle attività formative sulle performance organizzative e l’allineamento delle iniziative ai fabbisogni reali delle amministrazioni, con particolare attenzione allo sviluppo delle competenze digitali e trasversali (Ministro per la Pubblica amministrazione, 2025, pp. 2-5).

L’impatto complessivo sulla finanza pubblica è confermato dai dati più recenti. Nel 2024, la spesa per redditività da lavoro dipendente delle PA ha raggiunto 196,560 milioni di euro, con un aumento del 4,5% rispetto al 2023. Si prevede un ulteriore incremento per il 2025 e un trend di crescita moderato fino al 2028. (Documento di finanza pubblica, 2025, sez. II, p. 19).

Inoltre, tra il 2019 e il 2023, la quota di lavoratori sovraistruiti è aumentata di 1,1 punti percentuali, con un incremento di 3,1 punti tra gli ultracinquantenni (ISTAT, 2024, p. 83). Infatti, il disallineamento tra formazione e utilizzo delle competenze rappresenta una delle principali cause di spreco di risorse pubbliche nonché di mancata innovazione nei servizi. Se le competenze acquisite non sono utilizzate nei ruoli assegnati, si sprecano risorse pubbliche, diminuisce la motivazione e la produttività (OCSE, 2023, pp. 41-45)[1].

Nel loro insieme i dati indicano la necessità di una gestione attenta delle competenze e di un utilizzo efficace della formazione, per evitare sprechi e ottimizzare la spesa pubblica. Questa esigenza è confermata anche a livello internazionale: per l’OCSE (OCSE, 2023), la rapidità di riallocazione delle competenze rappresenta ormai un elemento chiave nelle politiche di gestione del personale pubblico.

In questo scenario, risulta quindi fondamentale analizzare i bias che incidono sulle scelte formative e sull’efficacia delle politiche di sviluppo delle competenze nella PA.

Bias e criticità nella gestione della formazione

La finanza comportamentale individua diversi bias che, se non riconosciuti e gestiti, possono compromettere l’efficacia della formazione finanziata o organizzata dalla PA, con un impatto diretto sulla spesa pubblica.

L’inerzia organizzativa e lo status quo bias, ad esempio, inducono a riproporre ciclicamente corsi e format ormai superati, anche quando le esigenze organizzative sono cambiate. Ciò limita l’innovazione e l’adeguatezza dei percorsi formativi. Allo stesso modo, l’avversione al rischio e alle perdite – ossia la tendenza a evitare cambiamenti che potrebbero essere percepiti come una perdita di controllo, di certezze, comfort o di familiarità – porta a preferire metodi didattici tradizionali, percepiti come “più sicuri”. In questo modo si frena la sperimentazione di soluzioni innovative come l’e-learning o la formazione sulle competenze trasversali.

Un altro fenomeno è legato all’euristica della disponibilità, che spinge a selezionare i corsi sulla base di episodi recenti o temi “di moda”, senza un’analisi approfondita dei fabbisogni reali. Per esempio, dopo un evento critico, si tende a organizzare corsi “riparativi” su quell’area o tematica, trascurando invece lo sviluppo di competenze strategiche nel medio-lungo termine. Il bias di conferma, inoltre, orienta la scelta dei partecipanti e dei contenuti verso soluzioni già note o verso dipendenti che hanno già una forte motivazione e interesse per lo sviluppo delle competenze attraverso la formazione, invece di coinvolgere chi potrebbe trarre maggior beneficio da nuove competenze, a fronte di dati che suggerirebbero un necessario cambiamento.

Infine, l’effetto framing influenza la percezione della formazione: se questa viene presentata come un mero obbligo e non come opportunità di crescita (nudging) è probabile che venga vissuta come una perdita di tempo, con la conseguenza di uno scarso coinvolgimento. Tutti questi bias, se non riconosciuti e gestiti, si traducono in inefficienze e sprechi, perché la formazione rischia di non tradursi in un’innovazione funzionale né in un’adeguata distribuzione delle risorse. In sintesi, la presenza di bias nella progettazione e gestione della formazione può portare a investire risorse in attività poco utili o rivolte a persone diverse rispetto a quelle che ne avrebbero maggiore necessità, riducendo l’impatto positivo della formazione sulla performance della PA. Una gestione strategica della formazione deve quindi porre attenzione ai bias e basarsi su una valutazione periodica delle competenze e su processi di mobilità interna che facilitano il matching tra competenze disponibili e necessità organizzative (OCSE, 2023, pp. 9, 11-38, 49-60, 111).

Alla luce di queste criticità, diventa prioritario individuare strategie e strumenti in grado di misurare e correggere l’impatto dei bias cognitivi.

Strategie e strumenti per superare i bias

Per valorizzare davvero le risorse destinate alla formazione nella PA e ottimizzarne l’uso è essenziale adottare un metodo che colleghi in modo coerente i percorsi formativi, le competenze sviluppate e i ruoli assegnati all’interno dell’organizzazione. L’integrazione della finanza comportamentale nelle politiche formative supporta tale metodo perché aiuta a riconoscere e a correggere i bias che compromettono l’efficacia della formazione e, nel contempo, a promuovere una gestione basata su dati e feedback.

In questa prospettiva, una gestione data-driven della formazione, insieme a indicatori specifici, consente di monitorare l’efficacia dei percorsi formativi e intervenire tempestivamente per correggere eventuali criticità. (Ministro per la Pubblica Amministrazione, 2025, p.5)

Un indicatore importante è rappresentato dalla percentuale di applicazione post-formazione delle competenze, che misura quanto le conoscenze acquisite vengono effettivamente utilizzate. Un altro indicatore è dato dalla coerenza tra incarichi assegnati e profili professionali, che può essere verificata attraverso l’analisi integrata di job description – descrizione dei compiti e delle responsabilità di ciascun ruolo – e bilanci di competenze – valutazione strutturata delle competenze possedute dai dipendenti rispetto a quelle richieste dall’organizzazione.

Gli indicatori, analizzati alla luce della finanza comportamentale, non solo permettono di monitorare l’efficacia della formazione, ma aiutano anche a individuare i punti in cui permangono resistenze al cambiamento, come il mancato utilizzo delle nuove competenze o la persistenza di pratiche obsolete, per poterle risolvere. Queste informazioni consentono di progettare interventi organizzativi mirati per superare tali ostacoli e migliorare l’efficacia complessiva delle politiche formative nonché l’allocazione delle risorse. Inoltre, l’uso frequente di survey interne consente di raccogliere informazioni qualitative quali opinioni, esperienze e barriere percepite dai dipendenti, aspetti che sfuggono all’analisi quantitativa e che sono fondamentali per comprendere appieno i fattori che influenzano anche il cambiamento.

Considerate le restrizioni di bilancio e la complessità crescente dei processi organizzativi della PA, arricchire le politiche formative con la finanza comportamentale rappresenta dunque un’opportunità concreta che rafforza la capacità di adattamento della PA. Garantisce, infine, attraverso l’apprendimento mirato continuo, la gestione comportamentale delle risorse umane (OCSE, 2023, pp. 9-10, 44-60) e una cura efficiente ed etica delle risorse pubbliche (Ministro per la Pubblica Amministrazione, 2025, p.20).